La riatletizzazione: un passo in più

Introduzione

Nel precedente articolo abbiamo visto che la rieducazione motoria dovrebbe proseguire per stimolare quell’evoluzione ulteriore, quel miglioramento, definito appunto riatletizzazione, che può essere semplicemente fine a sé stessa e migliorare le capacità motorie e morfo-funzionali del soggetto oppure può essere finalizzata al rientro in campo per un atleta.

Di cosa parliamo?

Il termine riatletizzazione è composto da RI prefisso, presente in moltissimi verbi e loro derivati, che ha in genere valore iterativo ed esprime duplicazione o ripetizione (Dizionario Treccani) e ATLETIZZAZIONE sostantivo che definisce il processo che è proprio di un atleta detto spec. del corpo ≈ aitante, forte […] (Dizionario Treccani) e che riguarda quindi soggetti abili che vogliono recuperare, in seguito a un infortunio, le loro capacità per una disciplina sportiva.

Una definizione apparentemente esaustiva che, secondo una visione più ampia, può essere associata a tutti quei soggetti abili che vogliono migliorare, in seguito ad un infortunio, le loro capacità motorie per poter scegliere se finalizzare quel miglioramento verso una disciplina sportiva o meno.

Spesso si tende a considerare questa fase come la parte finale del percorso di rieducazione motoria post infortunio, ma è bene invece delineare con precisione dove finisce la rieducazione e dove inizia la riatletizzazione. 

Riprendendo il nostro precedente articolo, la rieducazione motoria termina quando il soggetto ha recuperato le capacità che gli servono per gestire le attività della vita quotidiana, quindi è, in questo senso, abile. È abbastanza ovvio che un’atleta non potrà mai concludere a questo punto il percorso iniziato con l’infortunio, ma sarà obbligato a proseguire per tornare in campo. In questo senso la riatletizzazione ha l’obiettivo di riportarlo verso una condizione migliore che riduca sensibilmente il rischio di recidiva associato ad un rientro troppo precoce all’attività agonistica e gli restituisca le abilità psicofisiche ottimali per superare i livelli atletici precedenti l’infortunio

Perché allora un soggetto non atleta, secondo questa lettura, non dovrebbe proseguire il suo percorso? Perché non dovrebbe avere la possibilità di ridurre le recidive e migliorare la sua condizione?

La riatletizzazione nella pratica

Come per qualsiasi altra tipologia di percorso di allenamento anche per la riatletizzazione l’approccio metodologico deve rispettare la fisiologia del soggetto, stimolando tutte le aree che ne compongono la performance motoria. 

Attraverso un’analisi è possibile rilevare i dati riguardanti gli aspetti morfo-funzionali del soggetto, dalle sue capacità motorie di base come mobilità articolare o flessibilità tissutale, a quelle condizionali come forza o resistenza aerobica. Oggettivando in questo modo punti di forza e aree di miglioramento, l’obiettivo della programmazione metodologica è quello di stimolare tutte le capacità che risultano essere carenti rispetto a uno standard di riferimento. Ad esempio, potrebbe essere che un soggetto debba allenare inizialmente la mobilità articolare e la capacità aerobica, un altro le capacità di forza e l’equilibrio, un altro ancora la composizione corporea e la mobilità articolare. 

Il processo terminerà, dopo un adeguato periodo di reiterazione dello stimolo allenante, in una seconda analisi che evidenzierà i cambiamenti e indicherà le carenze da allenare nella programmazione successiva. 

Conclusione: la fine di un viaggio?

Il ciclo analisi-allenamento-analisi verrà ripetuto fino a quando tutti i parametri che compongono la performance motoria saranno allineati con gli standard di riferimento. Solo allora il soggetto atleta avrà terminato il suo viaggio e  potrà mettere a frutto le sue nuove capacità motorie tornando alla disciplina che aveva interrotto prima dell’infortunio e il soggetto non atleta potrà scegliere se affrontare una disciplina sportiva partendo da zero.

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